Myanmar, i golpisti bloccano Facebook e WhatsApp: cosa sta succedendo

La giunta golpista del Myanmar ha deciso di bloccare il social network Facebook e WhatsApp: andiamo a vedere il perchè della mossa strategica.

Myanmar Facebook WhatsApp
La decisione dei golpisti in Birmania (Screenshot)

In queste ore la giunta militare che ha compiuto il colpo di stato in Myanmar ha deciso di bloccare il social Facebook e WhatsApp. La scelta seppur strategica è ben chiara. Infatti l’obiettivo dei golpisti è quello di bloccare i due servizi per garantire stabilità al paese. Infatti nelle ultime ore in Birmania è scoppiata la rivolta civile, pronta a mettere alle strette i golpisti.

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L’annuncio del blocco però non è nuova. Infatti un primo annuncio era arrivato proprio da Mark Zuckerberg. Il proprietario del colosso dei Social aveva comunicato come alcuni dei suoi servizi erano stati “interrotti” nell’ex Birmania. Inoltre i rivoltosi pro-democrazia hanno annunciato, proprio sul social, l’arresto di almeno tre persone nel corso di una manifestazione contro il golpe. Andiamo quindi a vedere cosa sta succedendo nel paese asiatico.

Myanmar, dopo il golpe arriva il blocco di Facebook e WhatsApp: l’obiettivo

Myanmar Facebook WhatsApp
La rivolta popolare contro il golpe (Getty Images)

Dopo il golpe dei militari in Myanmar sono diverse le rivolte popolari nel paese. Infatti sono diversi i video pubblicati dalle reti internazionali, che ben presto hanno fatto il giro dei contatti WhatsApp e Facebook dei cittadini dell’ex Birmania.

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Un evento che ha portato i cittadini a scendere in piazza per la scarcerazione della presidente San Suu Kyi. Sono diverse le proteste, dalle pentole sbattute al saluto con le tre dita, come in “Hunger Games” fino ai concerti di clacson.

Così i cittadini hanno utilizzato i social per diffondere le immagini della disobbedienza civile anche negli ospedali, dove gli operatori hanno accusato il golpe di anteporre i propri interessi di fronte alla pandemia. Intanto la presidente San Suu Kyi è stata incriminata per aver importato nel paese illegalmente i walkie-talkie ed alcune radio, ritrovate in casa sua-

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