Città della Scienza e Palazzo Guevara: sintomi dello stesso male

Il disastroso e malinconico rogo della Città della Scienza ed il crollo di parte della facciata di uno storico palazzo del civico 72 alla Riviera di Chiaia, non sono accomunati solamente dalla fatidica data del 4 Marzo 2013. Nel giorno in cui tutta Italia ricordava il compleanno di Lucio Dalla, di mattina a Napoli veniva giù parte di un palazzo, mentre in serata, con il favore delle tenebre, un gruppetto ben preparato, ha messo in scena il più teatrale e folle gesto che qualsiasi uomo potesse mai immaginare, dando fuoco e distruggendo in modo irreparabile uno dei simboli della tanto paventata rinascita napoletana della fine degli anni novanta, ma di fatto mai messa concretamente in atto.

Un palazzo che cade, una struttura che brucia, si potrebbe facilmente chiedere cosa potranno mai avere in comune. La risposta è fin troppo semplice: entrambi gli episodi sono figli dell’interesse, dell’affare, della sete di denaro, mescolata alla scellerata pratica della speculazione ai danni della collettività, che inerme, subisce l’ennesimo sopruso. Non importa che a rimetterci siano i cittadini sfollati dai palazzi, scoperti “improvvisamente” pericolanti, o i bambini principali fruitori dello Science Center, la cosa importante è arrivare allo scopo finale.

Da anni i residenti che affacciano sul cantiere della stazione Arco Mirelli della Linea 6, denunciano scricchiolii nei palazzi ed anomali affioramenti d’acqua dai pavimenti. Un negozio ha chiuso perché dal pavimento usciva l’acqua e per questo era diventato impossibile continuare l’attività. Schiere di cittadini, guidate da fior di ingeneri e professori, avevano chiesto la VIA, la valutazione di impatto ambientale, obbligatoria prima di procedere ad un’opera di tali proporzioni come la realizzazione della linea nuova del metrò, ottenendo in cambio una denuncia di smarrimento della stessa. Facile adesso capire che questa valutazione forse non c’è mai stata e che troppo grande era ed è l’interesse della Ansaldo di portare a termine una mega opera, che forse poteva anche non essere fatta, visto che molto semplicemente sarebbe bastato potenziare e valorizzare in modo adeguato la linea del tram, come si è fatto in passato in altre città d’Italia e soprattutto d’Europa, come ad Amsterdam dove, data l’oggettiva presenza di acqua, il tram è utilizzato al pari della metro di Parigi. Evidentemente però c’era un piano immaginato tanti anni fa, che prevedeva il lento declino della gloriosa linea del tram in luogo della quale già si immaginava la linea del metrò, nata negli anni novanta con il vecchio nome di Linea Tramviaria Rapida.

Stessa cosa dicasi per la Città della Scienza, mandata in fumo per motivi che ancora adesso restano sconosciuti ai comuni mortali. Facile pensare alle imminenti lottizzazioni che dovranno avvenire, troppo facile additare la Camorra, come ogni qualvolta si vuole nascondere la verità. Bisognerebbe invece cercare di capire chi potrebbe trarre reale vantaggio dalla distruzione. La magistratura ha accertato, grazie alle perizie della scientifica, che alla base dell’incendio c’è della benzina sapientemente messa in punti strategici da qualcuno che ha approfittato anche del fatto che le telecamere non erano in funzione, qualcuno che probabilmente sapeva. C’è chi punta il dito contro i dipendenti, da dodici mesi senza stipendio e che adesso prenderanno la cassa integrazione, perché loro conoscono bene la struttura in tutti i suoi meandri e solo loro potevano sapere del non funzionamento dell’impianto di videosorveglianza. Sospetti e dubbi, ogni pista resta aperta ed al vaglio di chi conduce questa delicata indagine che se dovesse arrivare, come tutti sperano, ad una conclusione ed individuare mandanti ed esecutori, potrebbe avere dei risvolti anche clamorosi.
La ricostruzione poi è un affare a se, perché se pure dovesse spostarsi il luogo dove risorgerà il polo scientifico, di sicuro quel tratto di mare dovrà essere concesso alla collettività e non ai privati, perché bene comune di Bagnoli e non solo, inalienabile e soprattutto non privatizzabile, perché come dice il signor Antonio, che quella notte ha temuto per la sua casa che sorge a poche decine di metri dal luogo del rogo “io vivo sul mare, ma non posso vivere il mio mare”.

Restituire il mare ad Antonio e le case della Riviera di Chiaia ai proprietari, così come bonificare i luoghi intossicati da anni di discariche di immondizia nate come frutto marcio dell’affare dei rifiuti. In tanti, forse in troppi hanno pagato lo scotto dell’affarismo, dagli adulti ai bambini, la speranza è che il sacrificio della Città della Scienza sia l’ultimo atto della mano lunga dell’affarismo e che finalmente i diritti della gente per bene ritornino al primo posto nelle agende di chi amministra.

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