Il cimitero delle Fontanelle: il culto dei morti tra fede e superstizione

Il Rione “Sanità” è famoso non solo per aver dato i natali a Totò ed ispirato una celebre commedia di Eduardo, ma anche per il cimitero delle Fontanelle, un unicum nel suo genere. Sito a poca distanza dai sepolcreti extra moenia della Neapolis greco-romana e dalle catacombe di San Gennaro, il cimitero dei morti senza nome risale al XVII Secolo. L’ampia cava tufacea sottostante i Colli Aminei diventa, infatti, un’immensa cattedrale della morte nel 1656, durante una terribile pestilenza che dimezza la popolazione di Napoli.

Qui,alle Fontanelle, un toponimo popolare che indica un tratto di un antico acquedotto romano, vengono ammassati migliaia di corpi devastati dal flagello della peste. Il cimitero, da allora, accoglie i resti mortali di tanti napoletani trovati nelle “terre sante” delle chiese e nei vari lavori di scavo operati in città, tra cui quello dei sotterranei del Maschio Angioino che porta alla luce scheletri risalenti al Medio Evo.

L’ossario diventa luogo di culto nell’Ottocento, quando il canonico Gaetano Barbati fonda un’opera pia per il suffragio ai defunti anonimi. Il Cardinale Sisto Riario Sforza, nel 1877, celebra una memorabile messa in loro suffragio, ma è il popolo devoto della Sanità a rendersi protagonista di una lodevole manifestazione di civiltà. Scende in campo “ ‘O Core ‘e Napule”, le “maste” che, in pochi anni dispongono in precise forme geometriche i resti mortali ammassati in due secoli. Dal 1884 la cava delle Fontanelle si trasforma in un sacrario cittadino e le “maste”, le vestali del culto, guidano migliaia di fedeli  nella ricerca delle anim “pezzentelle” piu’ bisognose di suffragi.

Le “maste”, all’interno del cimitero, guidano le processioni in cui si recitano giaculatorie e litanie per le anime del Purgatorio. Qui, il culto dei morti coniuga tradizioni pagane ed espressioni della pietà popolare di matrice paleocristiana giungendo fino all’adozione di un teschio. Le anime adottate sono riconoscibili per i loro crani custoditi in bacheche di legno o di marmo.

Facite bene all’aneme d’o’ Priatorio”: chi adotta il cranio di un’anima in pena non gli fa mancare lumini, fiori, decine di “Requiem Aeterna”.

Frische all’anema  de’ muorti vuostri”: l’implorazione dei vecchi che chiedono l’elemosina diventa, nel cimitero delle Fontanelle, un imperativo, un impegno quasi quotidiano.

Il Refrigerium paleocristiano è la preghiera in suffragio dei cari che non sono piu’ fisicamente tra noi e che sono immaginati tra le fiamme, così come li vediamo raffigurati nelle tante edicole votive del cuore antico di Napoli. “ ‘O Refrisco” sarà recitato anche per le anime pezzentelle, “petentes”, cioè chiedenti il nostro intervento. Il  “limen” tra devozione e superstizione, nella Napoli popolare, è labile e, spesso, emerge il feticismo pagano nella personificazione di qualche teschio.

Così, in un suggestivo sincretismo religioso, “ ‘A capa ‘e Pascale” fa vincere al lotto, “ ‘A capa d’ò Capitano” fa maritare una ragazza povera, “ ‘A capa ‘e Donna Cuncetta” trasuda, “ ‘A capuzzella d’ò nennillo” assicura pace e prosperità in famiglia.

Nella religiosità popolare vige il do ut des, io do una cosa a te e tu dai una cosa a me: l’adottante assicura preci e attenzioni, ma si aspetta grazie e protezione. Questo singolare contratto tra vivi e defunti, negato al livello razionale è, invece, affermato da un vissuto comunitario emotivo, sentimentale, onirico e, a dirla con Totò, “non è vero, ma ci credo”.

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