Na tazzulella ‘e cafè

Oggi faccio io una domanda a voi: per cosa è famosa Napoli?
Pulcinella, la pizza…Totò, sì Maradona certo…vabbè la monnezza, no dai la monnezza no!
State dimenticando qualcosa: ‘o cafè.
Non vi è mai capitato che passando per Napoli vi abbiano offerto un caffè.
Questa bevanda oltre che essere buona e dare la carica è anche un momento per stare insieme per far due chiacchiere.
A Napoli il caffè è una tradizione ed è famoso ovunque l’espresso napoletano, dunque questo rito
affonda le sue radici nel 1700 quando nell’antica capitale duo sicula si beveva almeno una tazzina al giorno.

Fondamentale fu l’invenzione nel 1800 della “caffettiera napoletana” che alternava il metodo di preparazione per decozione alla turca al metodo di infusione alla veneziana, con un sistema a doppio filtro.

Si passò poi all’adozione in larga scala della “macchina per espresso” nel 1900 che era molto difficile da maneggiare, ma di cui i napoletani divennero subito abili maestri.

Ma qual è il segreto della miscela napoletana?
La tostatura indubbiamente che conferisce alla miscela una più scura colorazione rispetto alle altre regioni italiane, una particolare attenzione viene data alla torrefazione che, se fosse solo di poco più lunga, causerebbe la bruciatura della miscela stessa.
Dopo qualche giorno di riposo, esalta gli oli essenziali e contribuisce ad una migliore estrazione degli aromi; tutto questo finisce col conferire il caratteristico gusto al caffè napoletano.

Altro punto a favore dell’espresso di casa nostra sta nel fatto che è più salutare di qualsiasi altra preparazione del caffè poiché l’estrazione di caffeina, che è in relazione al tempo di esposizione all’acqua calda, è minima.
Attorno al caffè napoletano ruotano diversi aneddoti, ad esempio è di regola qui bere il caffè con le “5 C”, ovvero le cinque C iniziali della frase “comme ca..o coce chistu café”.
Ma scalda più il cuore che il palato la ritualità del caffè pagato, una volta molto più frequente, secondo il quale sia tradizione locale pagare un caffè non ancora consumato a beneficio di chi non se lo possa permettere.

Non dimentichiamo inoltre che questa piccola tazzina di caffè è stata l’ispirazione di tanti cantori di Napoli e di tante canzoni.

Secondo alcuni l’unica tradizione del caffè italiana che può accostarsi alla napoletana sarebbe la triestina ma pure la miscela “triestina” non conserva in sé le caratteristiche di tostatura della napoletana, inoltre presenta un più elevato grado di dolcezza che, se per alcuni profani può rappresentare un vantaggio, per i veri intenditori del caffè non è altro che un cospicuo fattore che fa preferire l’espresso napoletano.

Ma com’è arrivato il caffè a noi?
Ne troviamo citazione addirittura nella Bibbia, in principio sappiamo che veniva consumata la bacca lungo i viaggi che duravano intere settimane. Solo intorno al 1000 d. C. furono bolliti in acqua i chicchi di caffè e si fece nascere una bevanda nuova.
L’Occidente scopre il caffè tra il 1500 ed il 1600 grazie all’arrivo nei porti di Venezia e Marsiglia di navi con sacchi che contenevano i chicchi di caffè, allora la bevanda veniva chiamata “Vino Arabo”.
Nel 1600 però alcuni scienziati sparsero la voce che la bevanda fosse velenosa, fu il re Gustavo III di Svezia a dimostrare che questa bevanda non aveva alcunché di velenoso. Firmò infatti una condanna a morte da eseguirsi mediante somministrazione di caffè naturalmente la morte non sopravvenne e la bevanda fu assolta.
Il ‘700 e l’800 sono stati secoli d’oro per la bevanda con l’apertura di molti “Caffè” dove s’incontravano gli intellettuali per discutere di politica, di attualità, di pettegolezzi.

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