“Quanno Nascette Ninno a Bettalemme” Un viaggio nella storia del Presepe Napoletano

Il Centro Studi Neapolis, impegnato, da decenni, nella valorizzazione delle più autentiche tradizioni religiose e culturali del nostro popolo, propone, a Dicembre, tra la Novena dell’ Immacolata e la Vigilia di Natale, interessanti rivisitazioni del Presepe Napoletano.
Quest’anno, con “Quanno nascette Ninno a Bettalemme”, una suggestiva proiezione multimediale, la centralità del fenomeno presepiale a Napoli viene analizzata diacronicamente e con una plurità di chiavi di lettura.
Dopo un breve excursus iconografico sulle testimonianze paleocristiane e altomedievali della Natività, la proiezione focalizza, in un’avvincente sequenza di immagini, i quattro momenti che scandiscono la storia del Presepe nella nostra città.
Il primo momento, che, dal Basso Medioevo giunge all’epilogo del XVII secolo, è rappresentato dal Presepe Liturgico, allestito, stabilmente, intra moenia, nelle cappelle delle Basiliche sorte lungo i cardines e i decumani della Neapolis greco-romana e, poi,  extra moenia, nei conventi e nelle chiese di una città cosmopolita, al centro dei più importanti scambi commerciali del Mediterraneo e capitale di un regno che unifica le diverse etnie dell’Italia Meridionale.


Significativa testimonianza della spiritualità monastica francescana e domenicana, l’allestimento liturgico nella Napoli Angioina e Durazzesca, traduce, plasticamente, i testi evangelici nell’originario nucleo scenico della Natività con l’adorazione degli angeli, dei pastori e dei magi al “Verbo Umanato”. A Napoli, più che negli allestimenti marmorei o fittili, maggiormente diffusi in altre aree geografiche della nostra penisola, il Presepe Liturgico  << stabile >>  è caratterizzato da figure lignee policrome a tutto tondo e << naturalis proportionis >>.
Queste figure, a dimensione quasi umana, sono opera di artisti di diversa provenienza e dei famosi  di San Gregorio Armeno, destinatari della prestigiosa committenza della nobiltà, degli ordini monastici, delle arciconfraternite e del clero secolare.
I documenti dell’epoca e le ricerche dei cultori di storia patria attestano, nella Napoli Aragonese e del Vicereame, la presenza di numerosi Presepi lignei.
Accanto all’interessante allestimento del Simone in Sant’Agostino alla Zecca sono più volte citati i famosi complessi presepiali di Santa Maria la Nova, di Sant’ Eligio, della S.S. Annunziata e di San Giovanni a Carbonara, opera dei fratelli Giovanni e Pietro Alemanno che, con il capolavoro della Cappella dei Recco, nel 1478, presentano ben quarantuno pezzi comprendenti, oltre alla Sacra Famiglia, angeli, magi, sybille, profeti, pastori e pecore. Tra i più prestigiosi allestimenti liturgici del XVI secolo vanno segnalati il Presepe del Belverte, in San Domenico Maggiore, e quelli di Santa Maria del Parto e di San Giuseppe dei Falegnami, entrambi scolpiti da Giovanni Merliano da Nola che, per primo, colloca la Natività tra le vestigia di un tempio pagano.
Dopo il famoso Presepe di San Gaetano da Thiene, allestito, nel 1534, nell’oratorio di Santa Maria della Stalletta, si afferma la teatralizzazione del sacro dettata dalla Controriforma Cattolica. La Napoli Barocca assiste, con orgoglio e meraviglia, ad un’autentica gara tra Teatini, Scolopi e Gesuiti, impegnati nella realizzazione di “scogli” sempre più ricchi di personaggi, sul modello dei coevi presepi fiamminghi e bavaresi.
Il Borrelli, il Mancini, il Causa ed altri attenti studiosi del fenomeno presepiale napoletano sottolineano l’importanza di tre successive innovazioni che investono l’allestimento liturgico, tra la metà e la fine del XVII secolo, anticipando il Presepe “mobile” settecentesco. La prima innovazione è costituita dall’ampliamento dello spazio destinato alle due scene evangeliche collocate ai lati della Natività: quella bucolica, rupestre, dell’ “Annuncio ai pastori”, e quella profana, cittadina, del “Diversorium” in cui Giuseppe e Maria non trovano posto in occasione del censimento indetto da Ottaviano Augusto.
La seconda innovazione riguarda l’invenzione dei manichini snodabili, attribuita, tradizionalmente, a Michele Perrone ed esaltata da Pietro Ceraso nel famoso Presepe di Santa Maria in Portico, il più grande realizzato con questa nuova tecnica. La terza ed ultima innovazione, di fine secolo, è caratterizzata dalla diminuzione delle dimensioni dei pastori, con il definitivo passaggio alla variabile dai trentacinque ai quaranta centimetri.
Agli inizi del XVIII secolo nasce il pastore che esalterà l’allestimento mobile aristocratico e laico : è di misura terzina, ha la testa in terracotta, gli arti lignei o fittili, gli occhi vitrei e l’anima in fil di ferro, lasciato cuocere nella cenere, per aumentarne la duttilità e, poi, ricoperto da cascame di canapa (stoppa) per essere pronto per la vestitura.
Ed eccoci giunti al Settecento, al secondo grande momento del nostro Presepe, scandito, inizialmente, dalla breve parentesi austriaca e, poi, dai fasti della Real Casa di Borbone in una Napoli che gareggia, in splendore artistico e culturale, con Londra, Parigi, Vienna e Pietroburgo. Scorrendo i diari dell’élite europea attratta dalle antichità, dalle eruzioni dello “sterminator Vesevo”, dal fascino selvaggio dei Campi Flegrei, dalla liquefazione del sangue di San Gennaro e dagli innumerevoli misteri, colori e sapori di Napoli, scopriamo un unanime elogio della << gran magnificenza dei Presepi e del vestimento dei pastori>>. Anche i dominatori asburgici apprezzano il Presepe e la “Gazzetta Napoletana” ci informa, con orgoglio, sulle visite del Conte di Daun al capolavoro del Nauclerio, di Wolfang Von Schrattembach ai Presepi di San Paolo Maggiore e di Santa Chiara e della Contessa della Pieve Visconti al ricco allestimento del Principe di Ischitella a Chiaja.
Ma < El Siglo De Oro> del Presepe Napoletano è firmato da Carlo di Borbone che, dal 1734 al 1759, realizza allestimenti tali da destare stupore ed ammirazione negli astanti. Il Presepe carolino “di palazzo”, laico, mobile, lusus e vanto del re di Napoli e modello ideale per la nobiltà di corte, è caratterizzato da una realistica riproduzione degli ambienti, delle “nature morte”, degli animali e dei finimenti, da un attento studio della fisionomia e dell’abbigliamento dei pastori, dei contadini e dei personaggi cittadini e da una straordinaria profusione di oro, argento e pietre preziose nel corteo dei Magi e degli orientali.
Questo Presepe mobile, che a detta del biografo di corte Pietro d’Onofri, vede costantemente impegnati, nell’animazione e nell’abbigliamento dei “pastori”, il futuro ” Carlos Tercero Rey De Espana” e l’augusta consorte Maria Amalia di Sassonia, è passato alla storia come il più alto esempio di “Kulturgeschichte” e di allestimento artistico settecentesco.
Con il successivo Presepe ferdinandeo, fissatasi definitivamente la tripartizione scenica dell’Annuncio ai pastori, della Natività e della Taverna-Mercato, l’allestimento di corte diventa anche itinerante. Nella tenuta di San Leucio e nei palazzi reali di Napoli, Caserta, Portici e Palermo, per un’esplicita richiesta del sovrano, il Presepe < cortese > si arricchisce degli usi, costumi, arti e mestieri del Regno “Utriusque Siciliae” ritratti dal Della Gatta e dal d’Anna e riprodotti nelle porcellane della Real Fabbrica di Capodimonte.
Il modello carolino-ferdinandeo, seguito dai successivi sovrani, sarà imitato dalla nobiltà e dagli esponenti più in vista dell’alta borghesia che assicureranno, con una committenza di prestigio, lavoro e fama ai tanti artisti ed artigiani del tempo ed alle real fabbriche borboniche di tessuti e di passamanerie, specializzate nella vestitura dei pastori.
Gran parte degli studiosi colloca, tra gli anni Quaranta e la fine del XIX secolo, il terzo momento della lunga storia del Presepe Napoletano.
Ammainata, nel 1860, la bandiera borbonica ed issato il tricolore sabaudo, la Napoli postunitaria vede noti nomi dell’aristocrazia e dell’alta borghesia impegnati in ricchi allestimenti presepiali e, soprattutto, in un colto collezionismo privato.
Nella seconda metà dell’Ottocento, non più capitale di un regno, la nostra città conosce una realtà ambivalente: da una parte gli alfieri della storia patria tentano di salvare, un inestimabile patrimonio di fede, arte e cultura dalle mire interessate dei tanti estimatori europei e, dell’altra, antiquari senza scrupoli alimentano un ricco commercio semiclandestino di pastori e pezzi firmati razziati dalle chiese e dai palazzi gentilizi del centro storico.
Negli ultimi decenni del XIX secolo, accanto ai coevi allestimenti liturgici e laici, si registra la museificazione dei Presepi superstiti ad opera dei cultori più lungimiranti dell’ “intellighenzia” che ha contribuito all’Unità d’Italia. Di quest’ élite laica fanno parte, tra gli altri, il Nicolini, il Fiorelli e Michele Cuciniello che, nel 1879, dà vita al nucleo originario della sezione presepiale del Museo di San Martino con un suggestivo allestimento nella grotta ricavata da un ambiente della cucina della Certosa. Il quarto e, per ora, ultimo momento, del Presepe Napoletano che, dai primi del Novecento giunge ai nostri giorni, è caratterizzato da una notevole contaminazione culturale ed artistica. La città, nel XX secolo, presenta una realtà presepiale composita in cui convivono la museificazione delle collezioni private Perrone, Ricciardi, Catello, Carrara ed Acton, il collezionismo e la committenza della media-borghesia ed il trionfo del Presepe Devozionale Domestico con la variegata produzione della comunità artigiana di San Gregorio Armeno.
Nel secondo conflitto mondiale Napoli vede ancor più depauperato il proprio patrimonio presepiale dai bombardamenti aerei anglo-americani e dalle vendette dei soldati nazisti che, nel 1943, senza alcuna ragione, distruggono la famosa collezione del Museo Filangieri.
Dal dopoguerra agli anni Ottanta i presepisti e i maestri della creta di San Gregorio Armeno devono confrontarsi con due agguerriti concorrenti: l’albero di Natale, introdotto dalle truppe d’occupazione statunitensi ed allestito, principalmente, nelle case dell’alta e media borghesia, più consentanee agli stereotipi consumistici del boom economico italiano, ed il Presepe che, sponsorizzato dai grandi magazzini Standa, Upim e ” La Rinascente”, apre una breccia anche nel cuore antico di Napoli con i suoi pastori di plastica, uguali per dimensioni e tonalità cromatiche, e con la capanna della Natività in formato standard. L’offensiva omologante del “Presepe di plastica” è respinta anche grazie ai veri cultori della Tradizione, tra cui vanno segnalati i coniugi Aschettino, con la sezione cittadina degli “Amici del Presepio“, il maestro Roberto De Simone, i Barra e il Centro Studi Neapolis di Enzo La Peccerella, l’etnofotografo che regala inedite e suggestive istantanee di usi, costumi arti e mestieri antichi, e di Ennio Aloja, lo studioso di storia patria che, in sintonia con le unioni cattoliche operaie, rilancia il Presepe Devozionale Domestico, una delle più significative testimonianze della religiosità popolare napoletana.
Stimolati dai preziosi consigli di questi coraggiosi alfieri della Tradizione, i Ferrigno, i Capuano, i Giannotti, i Maddaloni, i Lebro e gli altri maestri artigiani di San Gregorio Armeno e di San Biagio dei Librai danno vita ad una nuova ed esaltante Rinascenza del Presepe Napoletano, che attrae migliaia di turisti ed assicura lavoro anche ai giovani “pastorari”.
San Gregorio Armeno, dagli anni Ottanta ad oggi, presenta un sempre più ricco repertorio di creazioni che vanno dalle “accademie” ai pastori “vestiti” in stile carolino dagli scogli animati da scene monotematiche, in scarabattola, alle figure di terracotta policromata dalle più svariate dimensioni, dalle minuterie lignee, in metallo, cera, creta e ceramica al Presepe Popolare con le tre canoniche grotte della Natività, di Ciccibacco e della Taverna-Osteria, dalle campane vitree, con l’allestimento elicoidale animato dalle “moschelle”, ai tanti animali, nostrani ed esotici, che popolano un microcosmo presepiale famoso nel mondo.
Ed eccoci giunti, ai nostri giorni, a registrare il crescente successo del Presepe Popolare < familiare > in una città che sta riscoprendo le proprie radici.
Famoso nel mondo grazie alla commedia eduardiana “Natale in casa Cupiello“, che, dal 1931 al 1984, ha acceso le luci del palcoscenico su quest’unicum presepiale, l’allestimento devozionale domestico presenta una plurisecolare sedimentazione magico-religiosa. Il Presepe della Napoli proletaria e sottoproletaria, fatto proprio anche dalla piccola borghesia, che, in esso, ritrova cari ricordi familiari e il senso della propria identità religiosa e culturale, è stato recentemente rivisitato, in chiave antropologica, esoterica e simbolica, nella sua struttura e nei suoi caratteristici personaggi. Allestito in casa e inaugurato subito dopo la festa dell’Immacolata, il Presepe Devozionale veicola una straordinaria contaminazione culturale che attraversa millenni di storia patria. Ad un’analisi più attenta, infatti, il Presepe Popolare Napoletano, con il suo presente antico, svela interessanti reminiscenze dei culti tributati alle divinità solari, celesti, ctonie e potamiche del Medio-Oriente, personaggi maschili e femminili presenti nelle mitografie egizie, elleniche, romane e celtiche riguardanti il solstizio invernale, e figure e < topoi > emergenti dai racconti evangelici apocrifi e da un inesauribile repertorio iconografico, sapienziale e gastronomico legato alle festività dei defunti, del Natale, di Capodanno e dell’Epifania.
Il Centro Studi Neapolis, che, attualmente, si avvale del prezioso lavoro di attenti ricercatori di suggestive iconografie presepiali, e di giovani etnofotografi esperti delle nuove tecniche multimediali, accanto agli storici allestimenti liturgici e laici, intende proporre anche interessanti spunti di riflessione sul Presepe costruito in legno, sughero, gesso o cartapesta e animato da semplici pastori di creta dai colori sgargianti. Questo Presepe Devozionale rappresenta, a nostro avviso, un inestimabile patrimonio di fede e di cultura che va da trasmesso alle nuove generazioni. In quest’ottica le manifestazioni promosse dal nostro gruppo di ricerca ed ospitate, ogni anno, dalle comunità ecclesiali della città, sono fruibili anche dai giovani, ai quali additiamo il valore formativo del Presepe Popolare, di un immaginario collettivo sedimentatosi nel corso di millenni di storia patria.
Quando, nella Betlemme-Napoli multietnica e multiculturale del nostro Presepe Domestico, nasce Gesù, << o’ Rre d’ammore che dà priezza e pace ad ogni core >> avvertiamo subito che il suo messaggio di carità e di apertura al prossimo è più forte e convincente del quotidiano bombardamento mediatico che vuole renderci schiavi ed idolatri del consumismo e prigionieri di una miope mentalità edonistica.

I commenti sono chiusi.

Impostazioni privacy