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Categories: CulturaNews

Donna Marianna: ‘a Capa ‘e Napole

A Palazzo San Giacomo, oggi sede del municipio, c’è una misteriosa testa di donna poggiata su un basamento di piperno. Posta nell’atrio, tra le due rampe che portano al piano superiore, questa testa di marmo è stata soprannominata “donna Marianna ‘a Capa ‘e Napole “.

Si dice che questa testa appartenesse alla statua di Partenope, la mitica sirena fondatrice di Neapolis, che si trovava a “Caponapoli”, sull’acropoli dove c’era il sepolcro della sirena. Gli esperti, in base alle sue fattezze e, soprattutto per l’acconciatura dei capelli, sostengono che si tratta  di una statua greca eretta presso l’agorà, non lontano dalla Basilica  medioevale di San Lorenzo Maggiore. Un certo Alessandro di Miele, secondo il Summonte, trovò questa statua abbandonata vicino alla sua abitazione, la fece mettere su una base di piperno e la collocò di fronte alla chiesa di Sant’Eligio, in piazza Mercato. Da allora Donna Marianna ha assistito ai piu’ importanti eventi della nostra città: ha perso diverse volte il naso, che l’è stato sempre riattaccato, è stata verniciata di bianco, per nascondere la sua vetustà ed è sempre stata oggetto di violenze e vandalismi.

Il giornalista Giovanni Artieri, insieme ad Amedeo Maiuri ed  Augusto Cesareo, nel settembre 1954, raggiunge Piazza Mercato per rendersi conto dei danni causati dai bombardamenti anglo-americani. Là, dove da secoli c’era “ ‘a Capa ‘e Napole”, restava solo un piedistallo. Una “bella di giorno” con due occhi nerissimi ed un corpo statuario, visti i tre che si aggiravano con curiosità tra le macerie, li apostrofò così: “Donna Marianna nun ce stà cchiù s’à so’ purtata stammatina. Mo ce sto io.”

La storia, a Napoli non è museo, ma vita e la “bella di giorno” si sentiva, in un certo senso, parente di questa dea trasferita nell’atrio del municipio perchè, come lei era stata ed era un “monumento” vivente della città.

Dario Aloja

Nato a Napoli, nel 1982, nel quartiere "Arenella", a metà strada tra il centro storico e la moderna zona collinare, Dario Aloja vive, da subito, le forti contraddizioni di una città divisa tra le nostalgie di un passato di capitale europea e un presente di metropoli labirintica, che ingoia sogni e speranze delle nuove generazioni. Come tanti giovani del terzo millennio, Dario avverte l'abisso che divide l'odierno modello capitalistico, che mondializza i totem tecnologici di una società alienante e disumanizzante, e le ragioni del cuore, il bisogno di gridare al mondo le esperienze del proprio vissuto, le emozioni dell'incontro con "l'altra metà del cielo". E questo magma incandescente di pulsioni, stati d'animo, sentimenti, affiora in superficie, diventa sfogo lirico, si fa "Pelle Libera".

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