Archeologia clandestina, sgominata organizzazione che operava in Campania


Quasi un anno di accurate indagini, per smascherare una complessa rete di “tombaroli”, che operava in Campania e non solo e che ha arrecato sicuramente notevoli danni al nostro immenso patrimonio culturale. All’alba di ieri, i carabinieri del Nucleo Tutela hanno dato vista ad una vasta operazione che si è conclusa con dodici arresti, tra i comuni della provincia di Caserta, ma anche di Bacoli e Pompei, fino ad arrivare a Taranto, trentanove perquisizioni in abitazioni di altrettanti presunti complici e che alla fine ha visto il sequestro di circa 633 pezzi (molti di V e IV secolo a. C.), per un valore complessivo stimato che si aggira intorno al milione di euro. Una quantità enorme di materiali che sarebbero andati ad alimentare l’efficientissima rete del mercato clandestino delle opere d’arte e che avrebbe sicuramente arricchito le collezioni d’arte non soltanto dei privati collezionisti. Tra i pezzi di maggior pregio spiccano due crateri a Campana a figure rosse datati al IV secolo avanti Cristo.
Le indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, effettuate anche con pedinamenti notturni e sofisticate tecnologie per la visione notturna, hanno ricostruito una perfetta organizzazione, che si serviva di scavatori clandestini di Casal di Principe, storicamente tra i più attivi in Campania per quanto riguarda questa attività illecita, dotati anch’essi, sia di strumentazioni elettroniche come metal detector, sia di strumentazioni antiche, come gli spilloni per sondare il terreno. Gli investigatori, non escludono neppure il coinvolgimento di organizzazioni criminali, dato che alcuni dei fermati erano legati per altri aspetti alla criminalità organizzata. Tra i territori principalmente battuti dagli scavatori clandestini spiccano Teano, Calvi Risorta e Sant’Agata dei Goti, territori con radici molto antiche in cui le testimonianze del passato sono note anche agli archeologi. Questa operazione, l’ultima in ordine di tempo attualmente in Italia, testimonia come l’interesse delle organizzazioni criminali verso questo tipo di mercato è altissimo e secondo solamente al traffico di droga e di armi. Enormi sono, infatti, i profitti che le cosiddette “archeomafie” fruttano ogni anno nelle casse della malavita, che sta escogitando sistemi sempre più complessi per esportare all’estero, nonostante le severissime norme vigenti in materia di circolazione dei beni culturali, i tesori che ogni anno sottraggono illecitamente in territori con forte potenziale archeologico, molti dei quali abitualmente visitati anche dai turisti. Ed a nulla servono i molteplici sforzi delle forze dell’ordine, in primis carabinieri e guardia di finanza, che da anni sono dotati di nuclei appositi di tutela e salvaguardia del patrimonio culturale, perché i territori da controllare sono troppo vasti rispetto al limitato numero di uomini e mezzi dato a loro disposizione. A tutto ciò va aggiunto la quasi totale assenza dello Stato, che nei mesi passati aveva provato a far passare il contestatissimo (da parte di tutto il mondo dell’archeologia italiana e straniera) “archeocondono”, una norma che prevedeva il condono, mediante il pagamento di un corrispettivo economico, di beni archeologici in possesso di privati cittadini, anche se di provenienza sconosciuta. A questo quadro desolante va aggiunto il preoccupante dato rappresentato dai continui tagli di fondi al Ministero dei Beni Culturali, che stanno mettendo in ginocchio le Soprintendenze archeologiche costrette a limitare la loro presenza sui territori di loro competenza, data la ristrettezza di risorse, concedendo campo libero a chi del patrimonio culturale della nostra nazione, è riuscito a creare un business molto redditizio.

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